Gennaio 2015

The drummer who sang

Premetto che non ho molta simpatia per i fenomeni mediatici come Rick Astley, il quale lanciò due hit nel 1988 per poi svanire nel nulla. Per contro, ho apprezzato molto l’album da solista di Karen Carpenter, uscito nel 1996, ben tredici anni dopo la sua morte avvenuta a soli 32 anni. Ebbene sì, Federico ha il suo Michael; io ho la mia Karen. In questo momento, l’italiano medio si starà chiedendo:chi diamine era Karen Carpenter? In effetti Karen (che,con il fratello Richard,fondò i Carpenters nel 1969) è praticamente sconosciuta in Italia. Nemmeno io la conoscevo. Poi, durante una grigia serata di novembre del 2009, trasmisero “We’ve only just begun” alla radio. Mi innamorai all’istante di quella voce e mi documentai immediatamente sui Carpenters, che divennero ben presto la mia droga. Scoprii subito che Karen era anche una batterista di ottimo livello. La Carpenter parlava di se stessa come di una batterista che cantava. La ragazza aveva una voce straordinaria ed inusuale; “legno fumoso”, stando alle parole della sua amica Dionne Warwick (sì, “quella” Dionne Warwick). Chi conosce bene i Carpenters sa anche che il primo amore di Karen fu una Ludwig. Purtroppo, ella non riuscì a sfruttare fino in fondo le sue capacità come batterista, in quanto Richard (il cervello del gruppo) voleva che la sorella fosse una “frontwoman”. Per non parlare della madre Agnes, la quale sosteneva che la batteria non fosse uno strumento adatto a una ragazzina educata.

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Charlie

Charlie Hebdo: Il male è giustificabile?

Da una settimana a questa parte, la frase ” Je suis Charlie ” è di uso comune. Si tratta di uno slogan molto usato dai sostenitori della libertà di espressione. Non vi tedierò con i dettagli,ormai sappiamo tutto della strage di Parigi. È come se fosse avvenuta di fronte al giornalaio vicino casa. Vorrei insistere, però, su un particolare che mi ha colpita molto: due dei killer sono reduci dalla guerra in Siria. A prescindere dalle parole di Hollande, non è di terrorismo che stiamo parlando. O meglio, sì. Però, a mio avviso, bisogna guardare entrambe le facce della medaglia. Magari il mio pensiero sarà quello di una qualunquista, ma sono dell’idea che “violenza genera altra violenza”. Non voglio legittimare gli autori del massacro, lungi da me. Ho sempre cercato la verità, e non parlo di quella apparente: sono sempre stata interessata a quello che si cela dietro la mera apparenza.

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“Come il progresso uccise la cara, vecchia macchina fotografica”

Correva l’anno 1979 e i Buggles avevano appena pubblicato l’album “The Age of Plastic“. Bene, questo disco conteneva la canzone “Video killed the radio star“, canzone destinata a diventare un inno. Con l’avvento di Mtv, il brano dei Buggles fu promosso a simbolo del progresso. Oggi, però, non intendo parlarvi di musica,bensì di una questione su cui penso si siano soffermati tutti almeno una volta nella vita. Sto parlando della tecnologia che ha letteralmente “ucciso” la macchina fotografica a cui noi, nati negli anni Ottanta e cresciuti nei mitici Novanta, eravamo tanto affezionati. Riprendendo la celebre citazione secondo la quale una foto è capace di immortalare un attimo che non tornerà più, adesso è addirittura possibile modificare quell’attimo.

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